Una donna, un sogno: tolleranza, rispetto, integrazione

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Roma- Il 22 marzo, presso l’Arion Monti, si è tenuta la presentazione del romanzo “Il sogno di Safiyya” di Nuccio Franco, giornalista e scrittore, vincitore dell’edizione 2010 del premio “Firenze per le culture di Pace” , dedicato a Tiziano Terzani,con “Nevè Shalom -Wahat al Salam”.

L’avvincente dibattito è stato moderato da una giovane giornalista sannita, Annalisa Ucci, ed ha visto la partecipazione dell’onorevole  Khalid Chauoki, coordinatore intergruppo immigrazione.

“Il sogno di Safiyya” è un romanzo che racconta in maniera brillante la storia di un’amicizia, che  diviene integrazione e tolleranza. L’autore ha tratto ispirazione da esperienze vissute in prima persona in contesti bellici tristemente ricordati come quello di Sarajevo, città simbolo della guerra in Bosnia; o nei suoi anni vissuti a Bologna quando è testimone dell’agghiacciante violenza subita da una giovane, che sarà proprio la protagonista del suo romanzo; o ancora dal suo viaggio a Nevè Shalom, villaggio in Israele dove arabi e israeliani, cristiani e musulmani vivono in perfetta armonia e cooperazione.

Nell’intervista qui riportata l’autore ci parlerà del suo lavoro, dei motivi che lo hanno spinto a mettere nero su bianco i suoi ricordi, e ci darà delle sue considerazioni personali sul fenomeno dell’immigrazione e dell’integrazione.

Il suo libro ha al centro della  narrazione la guerra in Bosnia: la cornice entro cui gli avvenimenti narrati sono inseriti è definita da un tragico scenario di guerra. Sulla scorta della sua esperienza personale e della riflessione sottesa alla stesura del suo romanzo, può provare a spiegarci l’impatto che la guerra ha sull’esistenza degli uomini che la vivono? il primo capitolo del libro è dedicato a Sarajevo, una città che io amo profondamente, poi il libro si svolge anche in altre situazioni. Ho deciso di cominciare da quel capitolo perché per me è stata una sorta di catarsi, da quando ho iniziato questa esperienza ho avuto dei flash sul passato ricordando persone e fatti. Ho cominciato quel capitolo per poi andare a ritroso, come una sorta di flashback. Per quanto riguarda la guerra, essa è sempre negativa, sempre dolore, tragedia, sofferenza. Due sono le cose che  mi hanno colpito di questa esperienza. La prima è stato l’aberrazione umana (gente che correva sotto le granate per difendersi dalla viltà di un cecchino), però paradossalmente la guerra tira fuori anche il meglio delle persone perbene. Ho visto molta solidarietà, attaccamento alla vita, forza di andare avanti. Ci sono state persone anche di un certo livello e di un certo nome rimaste a Sarajevo per difendere la loro città. Quindi questo paradosso: la viltà e la violenza unite a un senso che la guerra scatena nelle persone di mutua solidarietà.

Uno dei temi che il suo romanzo mette ampiamente a fuoco e che tiene insieme le diverse sequenze narrative  è la diversità, e in generale il confronto con l’alterità. Gli incessanti flussi migratori provenienti da aree di guerra ed estrema povertà, rende assai urgente una riflessione su questo tema. Ci piacerebbe sapere come lei intende questo rapporto di diversità.

Non parlerei tanto di immigrazione, ma di profughi politici. Vengono via dalla guerra, dai signori della guerra, i cui interessi sono sostanzialmente economici. L’Italia a mio avviso pur essendo un classico ponte sul Mediterraneo si è trovata impreparata su tutto: sull’accoglienza di queste persone, trattate quasi alla stregua di bestie, ed in seguito sul loro inserimento nella società.  Sono fermamente convinto che ci sia bisogno di una forte riflessione volta a modificare la legislazione italiana sui rifugiati politici che scappano dalla guerra.

Immigrazione significa anche confrontarsi con queste persone, non voglio pensare e non lo penserò mai che siano tutti criminali. Bisogna dialogare e confrontarsi con loro, per renderli parte integrante della nostra società. Una società multietnica multirazziale interreligiosa è inevitabile.

Il villaggio di Nevè Shalom Wahat al Salam in Israele, può fungere da modello di realizzazione in altri contesti multietnici?

Quello è un sogno, ed è anche “Il sogno di Safiyya”: che si possano ripetere nel mondo, esempi dove ci sia una civile e pacifica convivenza e un confronto quotidiano,  a cominciare dai bambini che vanno a scuola insieme, festeggiano le rispettive feste insieme. Io Credo sia possibile,  però  si sa bene che senza una volontà di base forte, tutto resta mera utopia. Bisognerebbe sforzarsi tutti quanti, la politica, la società civile, le organizzazioni, le associazioni per ripetere questa esperienza. Perché Neve Shalom dimostra che è possibile,  sia pur con molto difficoltà .

Altro elemento fondante della sua narrazione è il sogno. Qual è il sogno di Safiyya? In che rapporto è il sogno con la vita? c’è, a suo modo di vedere, una differenza tra il sogno e l’utopia.

Per  Safiyya è il sogno di ricominciare daccapo dopo aver subito una violenza che le  ha tolto l’intimità e il suo modo di essere e di vivere. Con la forza di cui solo le donne sono capaci, ha ricominciato come e più di prima occupandosi di disagio sociale. Il sogno di Safiyya è quello che abbiamo un pò tutti, un mondo meno ignavo, più sensibile alle esigenze del diverso. Io faccio un battuta parafrasando il titolo di un film “ma poi diverso da chi?”. Non son ancora riuscito a capire il parametro di riferimento in base al quale stabilire questa presunta  diversità. Per la nostra vita in generale il sogno è il motore, la macchina che ci fa andare avanti. Il sogno deve essere un fine a cui tendere, poi ovviamente a volte resta sulla carta perché si rivela un’utopia. Troppo spesso però l’utopia la creiamo noi per la non volontà di fare le cose. Il sogno è quello che la mattina ti fa alzare, la benzina della nostra esistenza.

Il romanzo prende spunto  da fatti realmente accaduti, quanto c’è di autobiografico?

1941325_10203439628860910_30591804_oSi, il romanzo è assolutamente autobiografico, ma com’ è logico che sia qualcosa è lasciato anche alla fantasia. L’ho scritto con una relativa facilità perché ho sentito l’esigenza di mettere su carta certe emozioni. E’ stato un libro per  raccontare e raccontarsi. Raccontare cose che sono successe a 400 km a inlinea d’aria, e cose di cui anche gli adulti ne sanno poco e niente, e ancor di più le nuove generazioni. Il libro e stato scritto proprio nel tentativo di far arrivare questo messaggio  ai giovani.

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