Referendum Costituzionale: al voto il 4 dicembre

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E’ ufficiale: il 4 dicembre gli italiani saranno chiamati a votare per il referendum confermativo sulla riforma costituzionale. A stabilire la data è stata una seduta lampo del Consiglio dei Ministri il 26 settembre 2016. “La manovra economica è così al sicuro” dichiara il Premier Matteo Renzi, il cui obiettivo primario appare quindi mettere al riparo la Legge di Stabilità, mentre si appresta all’ultima parte della campagna referendaria.

La Legge Boschi (dal nome del suo autore) approvata il 12 aprile scorso ha subito scatenato un accesissimo dibattito tra sostenitori e oppositori, che troviamo adesso schierati sul fronte del ‘Sì’ e del ‘No’. La questione è complessa: tratta infatti dell’impianto strutturale del Parlamento, materia alla base della nostra Costituzione, quindi chiederne l’approvazione popolare è il minimo indispensabile per un paese che si definisce democratico, procedimento comunque previsto dall’art. 138 della Costituzione.

La riforma, in sintesi, introduce:

  • Abolizione del Bicameralismo paritario attraverso la riforma strutturale del Senato (riduzione da 315 a 100 senatori, nessun limite di età, immunità parlamentare (già presente), futura legge sulle modalità di elezioni)
  • Modifica del quorum per l’elezione del presidente della Repubblica
  • Nuove norme sulle leggi (il voto a data certa e la coerenza)
  • Riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione(abolizione delle province e modifica delle competenze dello Stato e delle Regioni)
  • Abolizione del CNEL, ovvero Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro
  • Aumento del numero delle firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare
  • Modifiche riguardanti il referendum abrogativo e introduzione del referendum propositivo
  • Obbligo della parità di genere nelle elezioni delle Camere e dei Consigli Regionali
  • Elezioni separate dei giudici della Corte Costituzionale da parte di Camera e Senato e possibilità di giudizio preventivo sulla legittimità delle leggi elettorali

La materia è ampia e articolata e i cittadini saranno chiamati a pronunciarsi in favore o contro tutto il testo di legge: ecco il perché della proposta di cinquanta costituzionalisti (appoggiata dal M5S e dalle opposizioni) di dividere i quesiti usufruendo dell’apposita legge.  Ma lo scontro in vista del referendum è trasversale e attraversa tutti gli schieramenti politici.

Naturalmente a portare avanti le ragioni della riforma costituzionale troviamo Matteo Renzi e il ministro Maria Elena Boschi, ma c’è anche l’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, esponenti della maggioranza del PD, professori ed esperti in materia costituzionale. Per tutti loro la vittoria alle urne rappresenterebbe un salto di qualità del sistema politico, un modo per dimostrare la credibilità e la forza  del nostro Paese a livello internazionale.

A tal proposito è intervenuto anche l’ambasciatore statunitense in Italia John Philips, asserendo che “la vittoria del ‘No’ nel referendum sarebbe un passo indietro per attrarre investimenti stranieri in Italia” e aggiungendo che “l’Italia deve garantire di avere una stabilità di esecutivo perché  63 governi in 63 anni non danno garanzie”. L’intervento dell’ambasciatore non ha fatto però che aumentare i dissensi delle opposizioni, come nel caso del leader della Lega, Matteo Salvini che si è scagliato contro questa “invasione di campo” dell’ambasciatore e contro gli Stati Uniti, colpevoli a suo dire, di aver influenzato già troppe volte il nostro Paese verso scelte sbagliate. Ad unirsi al coro di protesta anche la minoranza del PD con Pierluigi Bersani che pone il problema della pericolosità dell’Italicum correlato alla riforma costituzionale, Forza Italia che accusa di un “entrata a gamba tesa contro il principio di sovranità popolare (italiana!) del primo articolo della nostra Costituzione e il Movimento 5 stelle, con Di Maio che attacca (con gaffe, poi corretta dallo stesso) Renzi di fare come Pinochet in “Venezuela”.

Ma il fronte del ‘Sì’ insiste sui vantaggi che  l’approvazione della Riforma porterebbe allo Stato: lo snellimento del procedimento legislativo che sarà molto più veloce e meno macchinoso, l’instaurazione del rapporto di fiducia tra il Governo e la sola Camera dei Deputati (quindi il rafforzamento dell’esecutivo), la riduzione dei costi grazie alla diminuzione del numero di senatori e all’eliminazione del CNEL, una funzione di mediazione del Senato tra poteri locali e Stato, diminuendo così i contenziosi in Corte Costituzionale.

Inoltre il referendum acquista anche un importante significato politico, non solo perché comporterà una profonda modifica della Costituzione, ma per le sorti dello stesso Governo Renzi. Il Premier ha ribadito più volte che in caso di bocciatura della riforma sia lui che il ministro Boschi si dimetteranno, trasformando così il voto in una consultazione politica personalizzata. Salvo poi smentire, nelle ultime settimane, la possibilità di sue eventuali dimissioni anche in caso di sconfitta.

Dopo le elezioni amministrative di giugno, ed il risultato poco gratificante per il PD, il referendum costituzionale è apparso, soprattutto agli oppositori, come l’ultimo “paracadute” per il presidente del Consiglio per legittimare il suo governo e dimostrare  di godere ancora dell’appoggio del popolo italiano.

Oltre alla denuncia della personalizzazione del referendum, degli interventi esterni indesiderati, i motivi che portano avanti i comitati per il ‘No’ sono i seguenti: il Parlamento che ha votato la riforma è stato eletto con una legge elettorale incostituzionale, quindi anche la legge non sarebbe valida; il bicameralismo non viene veramente superato ma si crea anzi più confusione tra le competenze dello Stato e delle Regioni e tra quelle della Camera e del nuovo Senato; inoltre non viene semplificata la produzione delle leggi, anzi dalle nuove norme su Senato e procedura legislativa deriverebbero circa 7 procedimenti legislativi diversi; i costi della politica non si dimezzano come annunciato, si potrebbero invece fare tagli su stipendi e vitalizi per ottenere maggiori riduzioni; il popolo italiano avrà meno possibilità di partecipare alle decisioni politiche, sia per l’innalzamento del quorum per i disegni di legge di iniziativa popolare, sia perché l’Italicum comporterà la trasformazione della minoranza vincitrice delle elezioni in maggioranza assoluta di governo (senza rappresentanza effettiva). L’accusa di opposizioni e costituzionalisti è quindi di uno stravolgimento eccessivo dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di “nuovo autoritarismo” del governo Renzi.

Sicuramente il sistema politico italiano attuale necessita di un cambiamento che ci porti fuori da una crisi governativa ed economica che da troppo tempo ci tiene bloccati. Il bicameralismo paritario non funziona, i costi della politica e dell’amministrazione sono troppo elevati e il Paese ha bisogno di una svolta. Di sicuro il referendum popolare è il modo corretto per porre la questione di un riassetto costituzionale profondo ai cittadini che, come sancisce l’articolo 1, sono sovrani e soggetti alla Costituzione stessa. È il popolo italiano a chiedere una svolta, forse non in termini così ampi ed articolati, forse non così in blocco; ma è lo stesso popolo italiano che troppe volte si è tirato indietro quando c’è stata la possibilità di cambiare veramente le cose, quando c’era da affrontare quel salto di qualità che di sicuro spaventava ma necessario. Di sicuro il 4 dicembre saranno in molti ad andare a votare senza conoscere bene la materia su cui si esprimono, ma questa è una loro responsabilità. Abbiamo ancora due mesi per informare e informarci, per scegliere ‘Sì’ o ‘No’ consapevoli della nostra scelta e sicuri che essa sia coerente con le nostre idee e i nostri principi.

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