REFERENDUM 2016 NON PASSATA. RISULTATI: SI AL 86% MA NON C’E’ QUORUM

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Nella foto distribuita dall'ufficio stampa il 31 luglio 2014 la Rainbow Warrior, nave simbolo di Greenpeace, entrata in azione nel mar Adriatico presso la piattaforma petrolifera Rospo Mare B, di propriet‡ Edison ed Eni. ANSA/UFFICIO STAMPA GREEN PEACE +++NO SALES - EDITORIAL USE ONLY - NO ARCHIVE+++Il quesito referendario chiedeva: volete voi che, quando scadranno le concessioni nelle acque territoriali italiane, quei giacimenti vengano fermati anche se sotto c’è ancora gas o petrolio?

Inizialmente  i quesiti in materia di trivelle proposti erano 6. Cinque riguardavano l’articolo 38 del decreto “sblocca Italia” approvato dal governo Renzi, uno invece l’articolo 35 del “vecchio” decreto Sviluppo del 2012, ovvero le “Disposizioni in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi”. Questo era rimasto l’unico in ballo e successivamente la Corte Costituzionale lo ha definitivamente giudicato ammissibile. Nel quesito i promotori chiedevano di vietare tutte le attività estrattive e di ricerca entro le 12 miglia marine di distanza dalla costa, fatti salvi i titoli abilitativi già rilasciati. Per quest’ultimi il governo Renzi, nel modificare il decreto Sviluppo del 2012, ha previsto che siano validi fino alla durata  utile del giacimento. Una frase che ha lasciato un’incognita sulla durata del diritto allo sfruttamento passando ai cittadini l’ultima parola decisionale: se lasciare la norma così come è o se abrogarla facendo in modo che anche le concessioni già assegnate per lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi entro 12 miglia marine abbiano una durata temporale limitata.

L’intenzione dei promotori del referendum era stata chiara: fermare le trivellazioni e mettere fine alla ricerca e all’estrazione di petrolio e gas nei mari italiani. Lo scopo era  di mantenere l’impegno assunto dall’Italia per limitare le emissioni di gas di serra che alterano il clima e cercare di salvaguardare il settore del turismo, dell’agricoltura, dei beni culturali proteggendo l’ambiente piuttosto che puntare sui pochi giacimenti di gas e di petrolio italiani che son poca cosa. Le riserve certe nei nostri fondali marini ammontano a 7,6 milioni di tonnellate di petrolio, secondo le valutazioni del ministero dello sviluppo economico e stando ai consumi attuali, coprirebbero il fabbisogno nazionale per appena sette settimane. Diciamo, quindi, che sul bilancio energetico  non inciderebbero molto. Gli effetti dell’estrazione invece sono duraturi.

Il referendum tenutosi il 17 Aprile 2016 non è passato. Alle urne sono andati il 32,15 per cento degli elettori aventi diritto. I si sono la maggioranza con l’85,84 delle preferenze contro il 14,16 dei no, ma l’esito della consultazione, come previsto da Costiituzione, non sarà tenuto in considerazione. Simile a ciò che accadde con il referendum sul sistema elettorale maggioritario dell’aprile 1999, perché anche in quel caso si era votato un giorno solo: alle 11 di quel giorno l’affluenza era del 6,7  per cento e a fine giornata si arrivò al 49,58 per cento, ad un passo dal quorum.

Gran parte della maggioranza dell’esecutivo ha sostenuto la linea scelta del Presidente del Consiglio Renzi preferendo la linea astensionista. Il Pd a differenza del governo ha mostrato differenze di posizione non di poco conto. I 5 Stelle che hanno appoggiato e sostenuto le ragioni del Si sono mancati proprio nel momento cruciale presi dalla scomparsa del loro leader e fondatore Casaleggio. La disgrazia ha bloccato il Direttorio non permettendogli di continuare con forza a sostenere i cittadini perché andassero a votare. Il referendum è stato fortemente voluto da 9 regioni, in prima fila la Puglia, la Basilicata e il Veneto. Il quorum ha superato di poco il 20% nelle regioni promotrici quali Calabria e Campania. I governatori hanno sempre lamentato nei confronti del governo una mancanza di volontà di stabilire un dialogo costruttivo sul tema delle perforazioni petrolifere.

Possiamo quasi considerare l’esito del referendum come  un rendiconto in atto da tempo tra Renzi, il governo e le regioni che si rimpallano responsabilità sulla gestione riguardo le questioni ambientali.

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