Le feste di primavera

Share

I romani di un tempo, gaudenti e inguaribili giocherelloni, organizzavano feste, specialmente nel mese di maggio, quando il tempo è più clemente e permette di fare la scampagnata fuori porta, sui prati fioriti e sotto alberi frondosi o, meglio ancora, in qualche osteria di campagna.
Una delle mete preferite, in passato, erano i prati di Testaccio, dove, oltre a mangiare e bere tra allegri schiamazzi, i giovanotti si cimentavano in attività sportive e in vari tipi di giochi a cui tenevano particolarmente per farsi belli agli occhi della ciumachella del cuore, perciò si impegnavano cercando di dare il massimo.
Vi partecipavano bulli e bulletti, attaccabrighe, prepotenti e, naturalmente, i giovanotti galanti a caccia di belle ragazze, per piacer proprio, ma anche per esibirla come conquista.
Uno di questi giochi era la “ruzzica”, una pesante ruota di legno che andava lanciata in una determinata direzione, secondo un percorso prestabilito, e richiedeva notevole forza fisica e destrezza.
Una variante della ruzzica era la “formetta”. Si trattava di una forma di pecorino, adeguatamente stagionato per garantirne la durezza e di medio peso, che veniva lanciata con le stesse modalità della ruzzica.
E quale era il premio assegnato al vincitore?
Ovviamente la bella forma di pecorino, la “formetta”, appunto, e a giudicare dall’impegno profuso dai contendenti, era anche molto appetibile.
Un ricordo di queste gare lo troviamo in un’incisione di Bartolomeo Pinelli del 1830, presso i ruderi della Minerva Medica, non lontano dalla Stazione Termini.
E’ inutile dire che i vari giochi si svolgevano tra urla e incitamenti e, con il passare dei secoli, con sfide tra rioni rivali che spesso finivano con fitte sassaiole, specialmente al Campo Vaccino ( Il Foro), o con “Sfrizzoli “, cioè coltellate.
Questi giochi richiedevano un grande dispendio di energie e non potevano essere praticati da mezze cartucce come, purtroppo per lui, era per unanime riconoscimento il signor Dodato, menzionato dal poeta Giuseppe Gioacchino Belli :
Sta cacca de fa ‘a rruzzica, Dodato,
co la smaniaccia d’abbuscà ll’evviva,
nun è ggiro pe ttè, che nun hai fiato
de strillà mmanco “peperoni e oliva”…

Le gite romane, tra riti religiosi e allegre scampagnate, avevano come destinazione fuori porta anche il Santuario del Divino amore, sull’ Ardeatina, ma il mese di giugno era tutto un tripudio di allegria con tutte quelle belle feste che non finivano mai.
Il 13 giugno S. Antonio di Padova (trionfo delle fragole alla Rotonda), il 24, festa di S. Giovanni, ma anche la notte delle streghe e, forse per esorcizzare la paura, i romani, notoriamente bongustai, affollavano le trattorie di Trastevere e di Testaccio e faceva strage di lumache e di cicorietta di campo, il tutto innaffiato con fiumi di vinello dei castelli.
Il 29 giugno si chiudeva in bellezza con la festa dei Santi Patroni Pietro e Paolo e tutti aspettavano la sera per ammirare lo spettacolo del Cupolone incendiato, cioè illuminato a giorno da una moltitudine di candele le cui fiammelle tremolanti nel buio della notte davano l’impressione dell’incendio.
Intorno a Roma c’erano, e ci sono ancora, delle feste religiose spettacolari, come quella del Corpus Domini di Bolsena e di Genzano che sono delle vere e proprie manifestazioni di arte floreale e spettacolo.
L ‘infiorata di Bolsena è legata al miracolo eucaristico avvenuto nella Basilica di Santa Cristina nel 1263.
Un prete boemo, Pietro da Praga, mentre celebrava la messa, ebbe il dubbio sulla reale presenza del Cristo nell’ Ostia, tuttavia continuò il sacro rito. Nel momento più cruciale della celebrazione, come di consueto, spezzò l’ostia e per poco il povero prete non cadde vittima di un infarto.
Cosa era successo?
Dall’Ostia spezzata cominciò a scorrere sangue vivo che imbrattò un corporale, la candida tovaglia dell’’altare e il pavimento di marmo della chiesa.
L’avvenimento passò di bocca in bocca e presto giunse anche alle orecchie del papa.
In seguito a questo evento, il papa Urbano IV istituì la festa del Corpus Domini.
Nel 1811, in piena dominazione napoleonica, i Francesi volevano distruggere la Basilica del Miracolo, ma un coraggioso sacerdote, padre Francesco Cozza, fece estrarre dalla Chiesa il marmo macchiato di sangue ed il 16 giugno lo portò in processione, tra l’esultanza del popolo e della nobiltà locale, per le vie del paese, palesando il miracolo, così la vecchia Basilica fu salvata dalla distruzione ordinata da Napoleone.
Oggi a Bolsena, nel giorno del Corpus Domini, nelle vie del paese viene steso un magnifico tappeto di fiori fragranti, distribuiti in forme geometriche in cui predominano i colori rosso, giallo e verde. Sul disegno del massicciato vengono sparsi i fiori, come tessere di un mosaico, con le cornici sempre di colore verde.
Questo capolavoro di arte floreale ha, però, vita breve perché verrà inesorabilmente distrutto dal passaggio di migliaia di piedi durante la seguitissima processione.

Un’infiorata simile avviene a Genzano la domenica successiva al Corpus Domini.
Qui l’infiorata ricorda la prima che avvenne in Vaticano nel 1652. Da quel momento, la manifestazione ha raggiunto un grande prestigio e, nel corso dei secoli, vari personaggi importanti hanno ammirato la bellissima infiorata: Massimo d’Azeglio (1822), Hans Christian Handersen (1834) e, infine, Giuseppe Garibaldi che nel 1875 ammirato da tanta sapienza e bellezza, si rifiutò di calpestarla.
A Genzano il tappeto di fiori non è continuo, ma formato da tanti quadri per una superficie di 1890 metri.
Qui l’infiorata viene solo calpestata dal corteo religioso, gli altri passano lateralmente, poi , a festa finita, i fiori vengono tolti dai bambini.

Users

Displaying 341–360 of 412  1 2 16 17 18 19 20 21
Displaying 341–360 of 412  1 2 16 17 18 19 20 21

One Response to Le feste di primavera

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*