L’Attimo

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Ho trovato un messaggio di Anna, quando mi sono tirata su dal letto:

“Valaaaaaaaaaaaaaa! HO PRESO LA PATENTE ”

C’erano molte più “a” alla fine di “Vala”.

Io sto col pigiama, appiccicato alla schiena, col sudore che fa da collante, col sole negli occhi scendo di casa non appena Anna citofona, e vedo… La più bella macchina scassata che abbia mai visto! Ha il parafango sgangherato, il tettuccio incastrato fino a metà sedile posteriore, il bagagliaio scoperto e la vernice scrostata sulle fiancate. Gli interni puzzano di stoffa e gomma cotte dal sole e consunte, le cinture di sicurezza hanno i bordi sbrindellati e stingono il nero sulle dita e sul mio vestito nuovo e bellissimo, che non so con quali soldi sono poi andata a comprare.

Quanti anni abbiamo? Potremmo averne diciotto, o venti, forse. Mi sento una leonessa, sento il vento fluire nelle vene, il sole schiaffeggiarmi il viso mentre corriamo, la macchina sobbalza, tossisce come un vecchio coi polmoni di catrame. La casa è questa: un grosso blocco di ceramica colorata, brilla come brillano le vecchie case di Lisbona, è un punto di azzurro acceso e giallo burro nel mezzo di casette anonime spazzate dalla brezza. I capelli neri di Anna mi finiscono in bocca mentre di alza sul sedile, si appoggia sul parabrezza e strilla, cono una mezza risata sulle labbra: “Alessiaa, scendi!”.

Lei è già fuori, più bella che mai: è un giorno sì! Ha gli occhi marroni luminosi, la matita verde a colorare le occhiaie e sorride mostrando quei suoi dentini smangiucchiati . Salta in macchina, infila un cd nella radio. Invaders must die. La musica elettronica pompa nelle orecchie, Anna imbocca le curve: non so dove siamo. Sotto c’è la linea blu del mare, e una spiaggia su cui il sole si riflette e mi taglia gli occhi con la sua luce abbacinante.

OOOOOOOOOOOOOOH ANYTHING I WANT HE GIVES IT TO MEEEEE

ANYTHING I WANT HE GIVES IT BUT NOT FOR FREE

IT’S HATEFUL

Io e Chiara cerchiamo ancora di cantare come Joe Strummer, e lei sputa sulla terra rossa che si solleva ad ogni sgommata della Ford.

Un gruppo di ragazzi in mutande con le bretelle rosse ci viene incontro gridando: cadono, strillano, ridono, si spingono addosso al cofano dell’auto; due di loro si stanno baciando nella terra.

Con una frenata che mi fa scrocchiare tutte le ossa del collo Anna parcheggia: c’è una piscina enorme, la musica è così forte da diventare un frastuono. La villa è gigantesca, sfavilla sotto il sole che comincia a ottenebrarsi dietro rarefatte nuvolette lilla.

Ho iniziato a comprendere solo da poco che la gente prova un sinistro piacere nel deprimersi, che è difficile trovare qualcuno che non abbia un passato doloroso, o che si sia convinto di averne vissuto uno.

Io mi lancio in piscina con tre amiche ripescate agli angoli delle strade rosse, e c’è qualcuno che piange e fuma una sigaretta sul bordo del cesso.

Perché alle masse piace più Stairway to Heaven di Black Dog?

Perché chi scrive di tristezza è più bravo, è più coraggioso. Ho sempre pensato che fosse il contrario: è più facile scrivere la parte iniziale di Stairway to heaven, che descriverne l’irruenza degli ultimi minuti gridati.

Imprimere la gioia sulla pagina di un libro o nella traccia di un cd è molto più arduo; si rischia di sembrare sciocchi, ripetitivi, banali, noiosi, vuoti.

Grido a gola spiegata, prima di cadere nell’acqua volo sulla superficie, sono una sagoma piccola piccola tra il bordo di una piscina nel mezzo di un sogno, con il deserto rosso e arrabbiato e il mare caraibico sotto.

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