Sociologici e studiosi dello sport ritengono che l’attività sportiva debba essere un momento di svago e relax con valenza educativa. Di certo questo non è il riscontro che il più delle volte si ritrova ormai nello sport nazionale.
Il gioco del calcio infatti è sempre più immerso nelle vicende di scontri, risse, lanci di petardi e bombe carta, fino spesso a sfiorare o toccare la tragedia, con accoltellamenti o spari di arma da fuoco.
Molte sono le discussioni che sono state aperte sull’argomento, si ritiene che non serva solo rigore e repressione per arginare la violenza negli stadi ma bisogna agire soprattutto sulla cultura del rispetto delle regole, andando ad incidere e debellare episodi di violenze e razzismo.
Il tema caldo della sicurezza negli stadi, torna d’attualità ogni domenica e si assiste così, come se ormai fosse inevitabile, alla guerriglia urbana. I fatti di cronaca da sempre riportano di vere e proprie tragedie nel mondo calcistico, e soprattutto in quello della tifoseria, i 39 morti allo stadio Heysel di Bruxelles prima della finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool nel 1985, per non parlare degli omicidi perpetrati su singole persone, come l’omicidio di Vincenzo Paparelli, colpito a un occhio da un razzo durante un derby romano nel 1979 e l’accoltellamento di Vincenzo Spagnolo, il supporter genoano ucciso per mano di un tifoso milanista nel 1995. Ed andando avanti, nel 1998 quando nel dopopartita di Treviso-Cagliari muore il tifoso veneto Fabio Di Maio, 32 anni, per un arresto cardiaco in seguito all’intervento della polizia per sedare un accenno di rissa tra le opposte tifoserie. Allo stesso Di Maio è stata poi intitolata la curva degli ultras trevigiani. Nel 2007 Gabriele Sandri, il tifoso laziale rimasto ucciso, in un’area di servizio sull’A1 ad Arezzo, da un colpo di pistola esploso da un agente di polizia dall’altra parte della carreggiata. Ma sarebbero troppi gli eventi da citare e la lista delle vittime purtroppo non sembra arrestarsi…
Il problema della violenza negli stadi, insomma, in Italia non è un problema innocuo e passeggero, periodicamete si condanna, ma non si riesce a risolvere. Subito viene alla mente l’esempio dell’Inghilterra, con il tifo violento degli Hooligans, arginato faticosamente da provvedimenti che hanno fortunatamente restituito l’ordine nel clima sportivo del calcio. Da noi tutto ciò non sembra possibile. In italia l’esempio anglosassone, concreto ed efficace, si scontra con l’indulgenza troppo frequente delle istituzioni e con pene troppo permissive e brevi. Non si parla più di doveri e responsabilità nell’ambito calcistico, il tifoso appare come dominante, è lui che decide cosa è più giusto fare, e poco è l’interesse verso il bambino seduto a qualche fila di distanza, o all’adolescente, la nebbia della violenza e dell’odio che è sempre più pressante tra tifoserie sembra prendere il sopravvento su tutto, sulla sportività e sul rispetto. Lo stadio è un campo di battaglia che spalanca le porte alla follia, è il momento di fare qualcosa.