La musica dell’universo.

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I Rush tornano con un nuovo album dal nome singolare e misterioso: “Clockwork Angels” evoca un’atmosfera alla Blade Runner, un’atmosfera cyberpunk. Sarebbe più opportuno parlare di cyberprogressive più che di cyberpunk. “Clockwork Angels” è un album futuristico: dalla già conosciuta “Caravan”(il singolo era stato rilasciato nel 2010) alla conclusiva e sognante “The Garden”, il progressive passionale dei Rush torna a colpire.

Headlong Flight è una delle tracce di spicco. Si tratta di un viaggio nello spazio, anni luce lontano dal pianeta Terra. Quel viaggio che l’uomo fa nei suoi sogni. Quel viaggio senza fine che l’uomo, in quanto essere sognante, compie su un’astronave speciale: i suoi desideri combinati con la sua immaginazione. Un’astronave che, quasi sempre, deve fare i conti con la realtà e viene richiamata sul pianeta Terra.

Altra traccia che spicca è quella omonima del cd, “Clockwork Angels”. Uno scenario celestiale, la voce di Geddy Lee sembra piombare dall’alto fusa insieme alla chitarra risonante e distorta di Alex Lifeson e al martellare in sottofondo di Neil Peart. Un coro angelico e, per l’appunto, meccanico. O meglio elettrico.

Altre signore tracce sono “The Anarchist” e “Halo Effect”. La prima delinea alla perfezione un personaggio uscito da qualche cronaca fantascientifica che si potrebbe collegare benissimo all’interno della società di oggi. “A missing part of me that grows around me like a cage”. La seconda è un’illusione collegata a questo viaggio. Percezioni sballate, rotta deviata. L’uomo si perde in questo mondo surreale.

“Clockwork Angels”: ciò che l’uomo desidera e il percorso tortuoso che l’uomo deve fare per raggiungere l’oggetto dei suoi desideri. Tra illusioni, delusioni, sette città d’oro (“Seven Cities Of Gold”), realtà e fantasia. Tutto per arrivare ad un ipotetico giardino, diverso per ognuno di noi.

Geddy Lee, nel frattempo, ha maturato la sua voce (meno acuta del solito).

La voce del signor Lee mista alla chitarra (secondo me sempre troppo sottovalutata) di Lifeson e la batteria di Peart assumono in questo album un carattere quasi mistico per un risultato decisamente magico.

Spero in qualche data italiana degli “angeli meccanici” per l’anno prossimo in aggiunta alle poche europee che sono già state programmate.

Un pò di magia progressive non guasta mai.

“Were those angels high above?”

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