Due giorni, una notte. Il nuovo film dei fratelli Dardenne

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Due giorni, una notte.Una ventina di persone in sala. Poltrone di velluto nere. È stata un’impresa trovare a Roma un cinema che lo avesse in programmazione. Ma soprattutto che lo stesse ancora proiettando, il film è uscito il 13 novembre. Due giorni e una notte è il tempo che Sandra (Marion Cottillard) ha per dimostrare che si è ripresa, che è guarita dalla depressione. Ma quando è pronta per riprendere in mano le redini della sua vita, le carte in tavola sono cambiate.

La ditta di pannelli solari, la Solwal, per la quale Sandra lavora, attraversa un periodo di crisi dovuto alla concorrenza asiatica. Dumont (Baptiste Somin), capo della ditta, indice una votazione. I dipendenti devono scegliere tra un bonus di 1000 euro o il licenziamento della nostra protagonista. Sandra deve convincere tutti a rivotare e a scegliere, stavolta, lei e non i soldi.

Descritto così, questo dei fratelli Dardenne, parrebbe essere l’ennesima pellicola che tratta la crisi economica, la perdita del lavoro e tutte le problematiche che ne possono conseguire. Di sicuro il film tocca anche questi argomenti, ma è come se li facesse divenire il pretesto per parlare di altro. Dei rapporti tra gli esseri umani, così diffidenti l’uno verso l’altro, ognuno preso dalla propria esistenza senza mai aver il tempo di soffermarsi su quella degli altri. Sandra, la protagonista, è come se fungesse da lente di ingrandimento, da telecamera nascosta messa lì a mostrarci tutte le debolezze, le meschinità che la gente nasconde dietro alle porte che lei, bussando, cercherà di far schiudere.
Qualche pillola di Xanax di troppo, sbalzi d’umore, stati d’animo altalenanti. Sandra è presa continuamente dal senso di colpa di star togliendo qualcosa agli altri.

Eppure è Sandra quella considerata malata, depressa, quella sacrificabile in quanto “meccanismo malato” della catena di montaggio.
Un film a tratti lento, come tutti i film francesi. Con delle scene bellissime, che restano lì sospese, senza pretese di voler dire chissà cosa, se non quella di mostrare le piccole felicità del vivere quotidiano. Quelle piccolezze che fanno sorridere. Come stare in macchina con la musica ad alto volume e cantare a squarciagola. Un film da vedere leggendo tra le righe.

 

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