Il Congresso colombiano concede l’amnistia ai guerriglieri delle Farc: impunità o giusto equilibrio tra pace e giustizia?

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Lo scorso 28 dicembre, all’indomani del nuovo ciclo di negoziati avviato dal Governo di Bogotá con lo storico gruppo guerrigliero del Paese e della crisi politica seguita al fallimento del referendum del 2 ottobre, entrambe le Camere del Parlamento della Colombia hanno approvato a larga maggioranza il progetto di legge fast-track n. 01/2016 che concede l’amnistia e l’indulto per reati minori (ovvero l’estinzione dell’illecito e della pena) a oltre 6.000 guerriglieri delle Farc-Ep (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia- Ejército del Pueblo).

L’obiettivo è quello di facilitare, in tal modo, la reintegrazione degli ex combattenti nella vita sociale, economica e politica del Paese e garantire una rapida implementazione del nuovo accordo di pace firmato lo scorso 12 novembre dal Presidente colombiano Juan Manuel Santos e il leader delle Farc Rodrigo Londoño Echeverri (meglio noto come Timochenko), che al Punto 5 parte II, e più avanti nella sezione dedicata ai Protocolli aggiuntivi, prevede infatti l’adozione di una legge di amnistia e indulto e la predisposizione di trattamenti penali speciali come condizioni indispensabili per il compimento del processo di smobilitazione e disarmo delle Farc previsto dall’accordo stesso.

L’adozione della norma in questione, arrivata in un momento storico del conflitto colombiano che per più di mezzo secolo ha visto contrapposti il movimento di guerriglia d’ispirazione marxista-leninista difensore dei contadini e le forze governative, è stata definita dallo stesso Presidente Santos, da anni impegnato nella ricerca di un’intesa con le Farc e di riconoscimenti a livello internazionale, come un passo fondamentale verso il consolidamento del processo di pace e la normalizzazione della vita politica e civile del Paese.

L’approvazione di una legge di amnistia, insieme all’indulto e alla sospensione dei mandati di cattura nei confronti dei ribelli, sono sempre stati, in effetti, uno degli aspetti più problematici che le delegazioni di entrambe le parti si sono trovate a dover affrontare nel corso del lungo e travagliato processo di pace, come dimostrano le dichiarazioni di alcuni dei massimi esponenti delle Farc che in passato hanno più volte affermato l’assoluta necessità dell’adozione di suddette misure per favorire la cessazione delle ostilità, l’abbandono delle armi e il transito dei guerriglieri nelle c.d. Zonas veredales de transito a la normalidad (delle aree di concentrazione temporanee in cui dovrebbero avere inizio il processo di disarmo e il passaggio alla legalità degli ex combattenti senza il rischio per questi ultimi di venire arrestati).

Nonostante la sua rilevanza a livello politico-diplomatico, la misura approvata dal Parlamento colombiano undici giorni fa ha sollevato diverse critiche soprattutto all’interno del partito di destra dell’ex Presidente Álvaro Uribe Vélez (che si è astenuto durante la votazione della legge in Parlamento) e fra i membri sudamericani dell’Ong Human Rights Watch che hanno espresso riserve su alcune disposizioni del progetto di legge definite troppo vaghe e suscettibili di limitare la possibilità di giudicare i delitti commessi nel corso della guerra civile colombiana.

In realtà, dall’elenco degli amnistiati, la cui versione definitiva verrà pubblicata entro la fine di gennaio, resteranno esclusi coloro che si sono macchiati dei delitti di lesa umanità, crimini di guerra, genocidio, stupro e altre forme di violenza sessuale, tortura, esecuzioni extragiudiziarie, sequestri, reclutamento di minori, etc, ovvero tutte le più gravi violazioni di diritto internazionale la cui punizione è prevista, oltre che dallo Statuto di Roma (istitutivo della Corte penale internazionale), anche dal diritto internazionale dei diritti umani e dal diritto umanitario. In tutti questi casi i diretti responsabili non potranno beneficiare della legge di amnistia e indulto ma, al contrario, saranno costretti a sottoporsi alla giurisdizione speciale per la pace (JEP), anch’essa prevista al Punto 5 dell’accordo, per essere giudicati.

Il Ministro dell’Interno Juan Fernando Cristo ha poi aggiunto che, nell’ambito di applicazione della legge, saranno previsti diversi gradi di esenzione dalla pena: un’amnistia automatica per chi ha commesso reati politici (come quelli di ribellione, insurrezione e cospirazione) mentre per altri delitti, specialmente quelli legati al narcotraffico, la decisione di concedere o meno l’amnistia spetterà di volta in volta al tribunale speciale per la pace (non ancora istituito). Per di più, se nei cinque anni successivi all’amnistia i beneficiari di quest’ultima non collaboreranno con il tribunale e non parteciperanno ai programmi per il risarcimento le vittime, questi perderanno il diritto acquisito.

È importante ricordare, inoltre, che la nuova legge di amnistia prevede un trattamento speciale anche per gli agenti dello Stato che sono stati condannati, processati o accusati di condotte criminose riconducibili al conflitto armato. Si tratta dunque di un provvedimento legislativo di cui beneficeranno non solo gli ex guerriglieri, ma anche diversi membri delle Forze dell’ordine e militari che nel corso degli anni si sono macchiati di crimini minori.

A riguardo, è da segnalare un’affermazione del Presidente Santos che, sul finire dei colloqui di pace de l’Avana, ha dichiarato che i soldati e i poliziotti che saranno giudicati dal tribunale speciale per la pace godranno della “massima comprensione nell’ambito della legge”. Una dichiarazione, questa, che ha sollevato diversi dubbi fra osservatori e analisti internazionali circa la parità di trattamento che verrà (o meno) garantita a guerriglieri e membri delle Forze dell’ordine responsabili dei fatti illeciti commessi nel corso della guerra civile a partire dal 1964.

Proprio la questione della giustizia era già stata la centro delle critiche mosse al vecchio accordo di pace firmato a fine agosto 2016 da coloro che ritenevano che il complesso sistema di giustizia di transizione elaborato in sede negoziale equivalesse all’impunità e non stabilisse, di fatto, un equilibrio realistico tra giustizia e smobilitazione del gruppo guerrigliero (nonostante fossero state previste restrizioni alla libertà dei combattenti, l’obbligo di contribuire alla giustizia con la verità e il risarcimento dei familiari delle vittime).

Queste riserve sul tema della giustizia, insieme al rancore, la profonda diffidenza nei confronti delle Farc, la disinformazione, la paura per la reintegrazione degli ex guerriglieri nella vita civile e il malcontento popolare nei confronti del Governo Santos, hanno sicuramente influito sull’esito negativo del referendum del 2 ottobre scorso con cui quasi 7 milioni di colombiani (per lo più abitanti dei centri urbani che non hanno vissuto in prima persona le crudeltà della guerra) hanno respinto lo storico accordo di pace siglato il 24 agosto.

Con l’accordo bis del 12 novembre 2016, e la nuova legge colombiana sull’amnistia, entrambe le parti sono comunque riuscite a superare la fase di incertezza e instabilità apertasi all’indomani del voto referendario, cercando di bilanciare le necessarie amnistie con il rispetto per le vittime, di perseguire la giustizia senza ostacolare gli sforzi diretti alla creazione di una pace stabile e duratura, garantendo così la cessazione definitiva del conflitto.

Significative, in tal senso, le parole di Imelda Daza, storica dirigente del partito Unión Patriótica, e Jairo Estrada, rappresentante al Senato del movimento Voces de Paz, secondo i quali amnistia, indulto e perdono sarebbero parte di un più ampio concetto di verità, giustizia e riparazione, ovvero diritti di ogni cittadino, indispensabili per costruire una nuova unità e una pace durature.

La legge approvata dal Congresso della Repubblica colombiana non sarebbe, dunque, un passaporto per l’impunità, non un modo per dimenticare ma per ricordare liberi dall’odio. “Porque sobre el odio nada es posible construir”.

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