Dopo ventitrè anni di Ben Alì, la Tunisia torna alle urne, per testimoniare che il sangue delle proteste è servito a restituire la sovranità popolare ai tunisini e che la primavera araba sta sbocciando. Ieri, in un clima sovraccarico di emozioni, hanno votato oltre il 70% degli aventi dritto, prova del fatto che i cittadini credono in un cambiamento e vogliono essere parte attiva della vita politica. Tante donne in coda per esprimere la loro preferenza, e molta l’enfasi sulla parità di accesso alla politica, tanto che nelle liste è stato imposto l’obbligo della presenza del 50% di candidate donne. I risultati ufficiali saranno comunicati oggi pomeriggio, ma i primi spogli confermano che Ennahda sia il partito in testa. La formazione di ispirazione islamica primeggia con percentuali tra il 30 e il 40%, a seconda delle regioni, seguita da Ettakatol, il primo dei partiti cosiddetti progressisti laici, con percentuali tra 10 e 20% e da un inatteso successo del Cpr -Congrès pour la Republique- del leader della Lega Diritti Umani Marzouki. Gli esponenti dei partiti “progressisti” laici non nascondono la loro preoccupazione per la vittoria di un partito islamico, seppur moderato. Ma il trionfo di Ennahda, un partito vicino alle aspirazioni religioso moderate del turco Erdogan, era facilmente prevedibile per due fattori: la grande campagna elettorale sorretta da copiose risorse finanziarie e basata su una capillare presenza sul territorio e di aiuti agli indigenti dei villaggi, e contemporaneamente la mancanza di una coalizione laica unitaria che potesse far fronte comune contro il leader di Ennahda, Ghannouci. Il dato politico più importante finora è che la giornata elettorale si sia svolta con regolarità ed entusiasmo, così come affermano gli osservatori internazionali. Da domani nascerà una nuova Tunisia, e si vedrà se le promesse di cambiamento elencate da Ghannouci, spesso accompagnato dalla capolista senza-velo Suade Abdelramin, saranno in grado di accogliere le istanze di rinnovamento auspicate dal popolo.