A Stolen Land – Golan Heights photo Luigi Vaccarella

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Nel 1967 l’esercito Israeliano lanciò un’offensiva contro gli stati confinanti di Giordania, Siria ed Egitto, che  sarebbe rimasta famosa col nome di “Guerra dei Sei Giorni”, e che si concluse con l’occupazione delle aree del Sinai e delle Alture del Golan.

La zona nota come Golan (Al- Jawlan in arabo) rappresenta un’area di grande importanza geo-strategica per lo stato ebraico, dal punto di vista militare, vista la sua posizione dominante sul sud del Libano, della Siria ed anche sul nord di Israele, dal punto di vista agricolo per i suoi suoli fertili e soprattutto per le grandi risorse idriche di cui la regione dispone e di cui Israele ha disperatamente bisogno, e per questi motivi di cruciale importanza, a differenza del Sinai (restituito all’Egitto nel 1982 in seguito agli accordi di Camp David), non sono mai stati avviati collocqui di pace con la Siria che prevedano la restituzione di questa zona, ed anzi Israele dal 1981 decise di includere le alture del Golan nel proprio territorio come parte integrante dello stato..Sin dalla prima settimana di occupazione l’esercito Israeliano portò avanti una intensiva pulizia etnica, forzando la grande maggioranza della popolazione araba a emigrare in Siria (circa 132.000 persone, contro 6.000 rimasti), e distruggendo i loro villaggi. Successivamente il governo adottò numerose politiche per controllare e contenere la popolazione Siriana, spostando numerose famiglie dalle loro case, ripartendo in maniera ingiusta le risorse idriche, radendo al suolo fattorie e villaggi, impedendo alle cittadine rimaste di espandersi ed espropriando proprietà pubbliche e private.

Oggi nel Golan vivono circa 17.000 coloni ebrei sparsi in 33 insediamenti, molti dei quail costruiti sulle rovine di villagi arabi, e circa 20.000 siriani, contro gli stimati quasi 500.000 originari della regione costretti a vivere in Siria, separati da parenti ed amici; vi sono inoltre nel Golan 60 basi militari, molte delle quali all’interno di città arabe come Majdal Shams per tenerne sotto controllo la popolazione, e 76 campi minati, più un numero imprecisato di ordigni e mine inesplose sparse per il territorio, che dall’inizio dell’occupazione hanno causato la morte di 37 persone e il ferimento di altre 76.

Il progetto fotografico di Luigi Vaccarella intende raccontare la realtà di una terra di grande bellezza trasformata e sconvolta dalla guerra, e  lo fa viaggiando attraverso quelli che sono i luoghi più significativi dell’occupazione di questa regione tanto contesa e tanto problematica (come i villaggi rasi al suolo e abbandonati, un tempo pieni di vita e ormai ridotti ormai a dei pascoli per il bestiame), e durante questo viaggio mostra tutti i segni lasciati indietro dal conflitto che influenzano e modificano la vita delle persone ora, come i campi minati, le trincee, le postazioni militari ed i vari luoghi commemorativi della guerra e della vittoria Israeliana, tutti scenari simbolici di una situazione che prima o poi, se davvero si vorrà arrivare ad una pace stabile e duratura, dovrà essere risolta.

Questo lavoro è parte di un progetto a lungo termine ancora in corso che indaga la relazione tra la Terra e gli Uomini che la abitano, e su come le loro azioni (come il sovrasfruttamento, le grandi opere architettoniche, le catastrofi naturali o le guerre) modificano questa relazione, spesso trasformando ambienti di grande importanza in “Terre di Nessuno” dove non è più possibile vivere in alcun modo.

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