Generazione di mammoni e generazione di disillusi. A ognuno le sue responsabilità

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Sono i giovani viziati che non sono viziati, o sono i genitori che ostacolano le opportunità dei figli?

Il belpaese è in una fase critica, la disoccupazione dilaga, la crisi fa tremare anche i più ottimisti e le soluzioni che i governi propongono risultano inadeguate e inefficienti. La nuova generazione italiana, conosciuta all’estero come “mammona”, è costretta a rimanere in casa con mamma e papà anche oltre il trentesimo anno d’età. I genitori, dei quali alcuni compongono la  classe dirigente che porta avanti il nostro paese data l’età media di 55 anni, tendono a scaricare la colpa sui figli accusandoli di negligenza e di ostentare un rifiuto nel prendersi le proprie responsabilità. Ma più spesso sono quelle famiglie il cui reddito è sufficiente a mantenere in casa un figlio disoccupato, a meritare le critiche; perché molti di questi genitori, invece di spronare la prole a trovare comunque un lavoro, tendono a sostenerla per averla vicino, dando prova di un atteggiamento protettivo. L’esempio riportato è però un caso estremo che non può essere preso come modello, dato che riguarda solo una parte delle famiglie benestanti e quindi un’esigua percentuale della popolazione italiana. La realtà quindi è ben diversa da quella che ci vuole far credere gran parte della “vecchia generazione”.

Il poco elegante appellativo di “bamboccioni” rifilato ai giovani dall’ex Ministro dell’Economia e delle Finanze, Padoa Schioppa, è stato utilizzato da lui medesimo e da chi la pensa come lui, solo per dirottare l’attenzione dell’opinione pubblica da ciò che può aver contribuito a determinare questa situazione di malcontento generale.

La “vecchia” generazione ha vissuto momenti di benessere come negli ultimi anni ‘50 e i primi ’60, attraverso il cosiddetto “miracolo italiano”, ma anche periodi di crisi come quelle petrolifere del ’73 e dei primi anni ‘80, che coinvolsero gran parte dei Paesi occidentali e che portarono a un crollo del sistema industriale, produttivo e distributivo con conseguente disagio per gran parte delle nazioni. Ma comunque questi periodi, peraltro brevi dato che nell’84 ci fu una grande ripresa, non portarono a  drastici cambiamenti nella struttura economica italiana. Il sistema di welfare e la previdenza sociale erano bene saldi così come i contratti a tempo indeterminato Le retribuzioni erano garantite e dignitose e i sindacati ricoprivano un ruolo fondamentale nella vita del lavoratore, garantendogli una buona assistenza così nel lavoro pubblico come nel privato. Senza menzionare il fatto che l’era delle privatizzazioni era ancora lontana e quindi le grandi società pubbliche davano più sicurezza per i posti di lavoro e per una pensione coperta. Le certezze che hanno accompagnato la vita dei genitori sessantottini non è in alcun modo paragonabile all’incertezza della situazione economica attuale nella quale loro stessi hanno trascinato l’Italia. Del resto l’età media dei politici, come già riportato, ruota intorno ai 55 anni e sono loro a decidere le sorti del nostro paese. Inoltre sono famosi per mettere le “radici” nelle poltrone da loro occupate negando la possibilità di un ricambio generazionale. Stessa situazione per esempio si ha negli atenei di alcune illustri università italiane, dove il vecchio professore, in età ultra-pensionabile, occupa la sua cattedra più altri 2 o 3 insegnamenti all’interno della stessa facoltà. Come se non bastasse magari ne hanno altri 2 o 3 sparsi in altrettante università private. Per chiudere in bellezza esiste la possibilità che svolga anche nel contempo un’altra professione e magari proprio quella del politico. Le prime osservazioni che vengono in mente sono: ma come gestirà tutte queste cattedre? Mette un rimpiazzo o si barcamena in mezzo a tutte queste attività rendendo inevitabilmente scadente la qualità del suo lavoro? Ma soprattutto tutti questi posti che occupa non potrebbero essere presi dai famosi giovani “bamboccioni” che sono in attesa da anni che si liberi l’accesso? Infatti aspettano rimanendo ricercatori a vita, con uno stipendio nettamente inferiore a quello di un professore e con contratti a termine che lo fanno  vivere in apprensione.

Altro problema dei giovani è che non esiste più il concetto di posto di lavoro fisso e sicuro. L’economia italiana in questo fa un  un goffo tentativo di imitare  quella americana  senza però avere  le basi per poterlo fare. Il sistema prevede che un posto di lavoro si possa mantenere  fino a quando l’azienda ritenga il dipendente produttivo. Ma se si viene licenziati negli USA, dandosi un minimo da fare (almeno prima di questa grave crisi) si  trova facilmente un altro lavoro,  in Italia invece questa possibilità è alquanto più difficile. Tra l’altro più l’età del lavoratore è avanzata, meno disposta è un’azienda ad assumere. Inoltre altro sistema nostrano è quello di “assumere” stagisti non pagati o con un esiguo “rimborso spese” che poi vengono scaricati dopo 3 o 4 mesi di promesse non mantenute e di disonorevole sfruttamento. Questo non vuol dire che il sistema americano sia inoppugnabile, ci invidiano molte delle nostre strutture economiche a cominciare dal welfare. Insomma la nuova generazione, tranne rare eccezioni, bene che gli vada, si deve accontentare  di un contratto a tempo con stipendio da fame e con la paura di rimanere l’anno dopo a casa con il portafoglio vuoto e un fitto curriculum destinato ad essere cestinato dalla maggior parte delle aziende. E’ quindi la spregiudicatezza degli stessi loro critici a ridurre molti giovani in uno stato di impotenza che li porta a doversi appoggiare ai genitori vedendo un mutuo e a volte anche un affitto come un traguardo irraggiungibile.

Ma non si può colpevolizzare del tutto la “vecchia” generazione perché anche i giovani hanno la possibilità di cambiare le cose. Invece pare che il vittimismo sia un atteggiamento assunto a volte da questa generazione. Esistono valori da prendere come esempio dalla  generazione precedente. Bisogna riconoscere che questa si è battuta per  ideali, ed ora ciò tra i giovani non sta accadendo. Pensiamo al  ’68, al femminismo, ai referendum su divorzio e  aborto. Questo spirito combattivo manca oggi in gran parte dei giovani. Basta piangersi addosso è ora di farsi valere e dimostrare di non essere né “mammoni” né tantomeno “bamboccioni”, ma “adulti”, magari portando  in piazza manifestando i problemi e le esigenze di questa generazione.

Claudio Palazzi

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