L’inquietudine dell’io si riflette in un’atmosfera visionaria dove i colori diventano opachi, sfuggenti, lontani. Un vortice, un turbine che apre le porte dell’inconscio e ove i confini si fondono: l’acqua, la terra, il cielo diventano un tutt’uno, ritornano al caos primordiale della Pangea. Una spirale infinita che esprime la moltitudine del Sé perché il Sé non ha fine , è un circolo vizioso. Lo stesso circolo vizioso dell’uomo che è preda delle sue angosce e forse il terrore diventa quasi sublime perché egli vuole restare intrappolato nei fantasmi della sua psiche . E così il Sole sembra non tramontare mai perdendosi in un’atmosfera di sospensione mentre l’unica certezza che può offrire solidità all’uomo è il legno su cui poggia i suoi piedi, quello di un ponte in grado di condurre altrove. Gli occhi sbarrati, le pupille come due spilli pronti a trafiggere esprimono paura e sgomento mentre la bocca si erge in una smorfia da brivido . Forse è questo stesso spirito deforme a incarnare l’anima dell’artista, che preda dei suoi tormenti e delle contraddizioni dell’animo umano vorrebbe emergere attraverso un grido liberatorio. L’uomo è solo, è consapevole della sua solitudine e da ciò hanno origine i suoi demoni interiori. Ma lo spettro del caos trova ristoro in due ignavi passanti, la personificazione dei mostri dell’io o due ombre indefinite? Essi scrutano la stessa follia di cui l’uomo è vittima e in grado di renderlo un carnefice ; quella follia di cui è protagonista e solo egli , si può assolvere e redimere dal male che lo attanaglia, solo egli conosce la via di fuga , la prospettiva di un orizzonte senza prospettive. Solo egli conosce la redenzione e la salvezza.